L’altra sera avevo a cena degli amici e stavo preparando una ricetta a base di pomodori ciliegini. Aperta la vaschetta (non avevo avuto il tempo di andare dall’ortolano) mi accorgo che molti pomodorini avevano una “brutta faccia”, insomma erano pieni di macchioline nere.
Faccio una smorfia e mi dico: “Laviamo questi pomodori per bene…” ed ecco che nello stesso momento mi vengono alla mente immagini di mani con le unghie sporche che raccolgono i pomodorini, mani il cui dorso pulisce il naso che gocciola, in breve un film dell’orrore…
Appena inizio a tagliare i pomodorini si apre all’improvviso una porta con una moltitudine di domande che mi vengono incontro: ma quante sofferenze ci saranno dentro questi pomodorini? Quante lacrime? Quante storie tragiche? Quanto sudore, nel senso letterale del termine? Quanto dolore fisico? E quante canzoni canticchiate a bassa voce, o forse insieme? Quanti sorrisi scambiati? E quante nascite di romanzi e forse di veri amori? Quanti sogni avranno raggiunto le nuvole durante la raccolta? E quanti colpi di caldo, freddo, sonno?
E quante delusioni, fregature, avranno subito tutte queste mani raccoglitrici, pagate 1 euro l’ora e costrette a comprare a 5 euro il biglietto del camion che le trasporta verso un luogo di “sotto sopravvivenza”?
Più tardi, a tavola, al momento di assaggiare questo piatto, mi inchino silenziosamente.
La cena è stata squisita.